giovedì 8 agosto 2013

Ode ai libertini

Oggi mi ritrovavo a sfogliare "La Filosofia nel boudoir" scritto dal divino Marchese de Sade, da considerarsi quasi il "libretto d'istruzioni dell'esistenza", ed ogni volta come fosse la prima balza ai miei occhi una degli asserti più profondi e intimidatori della storia della letteratura, che sento la necessità di condividere con Voi. Ecco a voi l'incipit dell'opera, il messaggio dell'Autore al suo pubblico:


AI LIBERTINI

Voluttuosi di ogni età e sesso, dedico quest'opera a voi soli: nutritevi dei suoi principi, favoriranno le vostre passioni! E le passioni, verso le quali certi freddi e piatti moralisti v'incutono terrore, sono in realtà gli unici mezzi che la natura mette a disposizione dell'uomo per raggiungere quanto essa si attende da lui. Obbedite soltanto a queste deliziose passioni! Vi condurranno senza dubbio alla felicità. Donne lascive, la voluttuosa Saint-Ange sia il vostro modello! Secondo il suo esempio disprezzate tutto ciò che è contrario alle leggi divine del piacere che l'avvinsero per tutta la vita. 
Fanciulle rimaste troppo a lungo legate ad assurdi e pericolosi vincoli d'una virtù fantasiosa e di una religione disgustante, imitate l'appassionata Eugénie! Distruggete, calpestate e con la stessa rapidità, tutti i ridicoli precetti che vi hanno inculcato genitori imbecilli!
E voi, amabili dissoluti, voi che fin dalla giovinezza avete come unici freni i vostri stessi desideri e come uniche leggi i vostri stessi capricci, prendete a modello il cinico Dolmancé! Spingetevi agli estremi come lui se, come lui, volete percorrere tutti i sentieri in fiore che la lascivia aprirà al vostro passaggio! Convincetevi, alla sua scuola, che solo ampliando la sfera dei piaceri e delle fantasie, solo sacrificando tutto alla voluttà, quell'infelice individuo conosciuto sotto il nome di uomo, scaraventato suo malgrado in questo triste universo, potrà riuscire a spargere qualche rosa tra le spine della vita.

D. A. F. de Sade [1740 - 1814]

Mi sono permesso di evidenziare i tratti che, della suddetta ode, costituiscono i tratti più salienti del messaggio che l'Autore vuole lasciarci.
Dunque la Natura si aspetta qualcosa da noi, invitandoci a disporre delle passioni da Lei donateci (che altro non sono che i Sensi a cui alludo spesso nei miei precedenti interventi) come unico mezzo per raggiungere questo fantomatico obiettivo. E quale sarebbe questo obiettivo? A mio avviso il nostro semplice obiettivo è sfruttare tutti i doni che la Natura ci ha concesso, dal primo all'ultimo, dalla capacità di manipolare il Creato a nostro vantaggio alla possibilità di estendere il nostro intelletto a dismisura, dispensando le nostre conoscenze come fossero beni superflui dei quali non ci turba il pensiero di condividerli con chicchessia; quale miglior modo, infatti, di dimostrare la nobiltà del proprio aureo stampo se non rendendoci necessari per il prossimo affinché una nozione a noi nota diventi tale anche per colui che, per diversa estensione d'intelletto (magari minata da stupidi preconcetti assunti per luogo comune oppure soffocati dai concetti dettati dall'etica e dalla morale), non hanno la nostra flessibilità nel raggiungere determinati asserti?
Non dobbiamo dimenticare poi che tutti gli esseri viventi sono mossi dal vento della Passione, dei Sensi, dell'Istinto, l'ancestrale richiamo allo stato puro ed incontaminato del Creato. Da questa tempesta sono trascinati Paolo e Francesca nel II cerchio dell'Inferno, ed anziché essere ivi confinata dovrebbe soffiare in tutto il Creato, condurre le nostre esistenze poiché insita nella natura del genere animale al quale noi stessi apparteniamo.
Che altro aggiungere, invece, sul disprezzo di tutto ciò che è contrario alle leggi divine del piacere (rammentiamo che il Marchese, nel suo sfrenato ateismo a cui tutti dovrebbero ispirarsi, conferisce il titolo di divus al suo precedente originario destinatario)? Ritengo che sia l'argomento a me più caro e sul quale sono intervenuto assai tanto che provo a convincermi che il messaggio sia penetrato a sufficienza; per ulteriori dettagli, le mie precedenti dissertazioni forniscono messaggi più profondi e dettagliati, per cui invito alla loro consultazione.
Ma è l'inciso conclusivo che sussume il lascito del Marchese: colui che si sforza a non dedicare neanche un'istante alle scelte dettate dalle Passioni rimarrà isolato come un naufrago su quel granello di sabbia facente parte dell'immenso litorale che la Natura ci ha lasciato; chi vive in tal guisa commetterebbe il medesimo errore di colui che decide di acquistare un'autovettura da corsa per poi non superare mai i 30 km/h.
Seppelliamo le chimeriche spine della condotta etico-morale, lasciamoci cospargere di petali di rosa dai nostri Sensi, e che la vita sia sempre un'occasione da cui trarre vantaggi e giammai rimorsi nel momento della dipartita.

A. G.

mercoledì 7 agosto 2013

Non abbiate pietà!

Oggi tenterò di conciliare il mio persistente desiderio di gettare al di fuori del mio intelletto ciò che più mi aggrada con l'accidia che nella giornata di oggi mi attanaglia più del solito; ma rendiamo grazie ai moti della Ragione che non si usurano e non si stancano mai di muovere i nostri pensieri.
Oggi voglio condividere con voi un estratto del "testo" (non oso definirlo né libro né racconto né romanzo, giacché trattasi di una bozza che vedrà il sole con le stesse probabilità con cui non lo vedrà mai) in fase di stesura già da un anno, mio specchio introspettivo sulle mie considerazioni degli elementi accidentali del Creato. Che pensare dunque de Pietade?

La pietà è la più inutile delle Virtù in cui ci si possa imbattere: in un mondo dove la legge del più forte domina sovrana, non c’è posto per la virtù, ed il solo sperare ed invocare l’applicazione di essa ti fa cadere in un fallo tale da renderti ancor più indegno di riceverla. E che dire in un mondo regolato e sottoposto ai limiti della legge? Coloro che propongono ed approvano le leggi restano comunque esseri umani figli della Natura, coi propri interessi da difendere e proposte sfavorevoli da insabbiare, e quanti più saranno agevolati dalla riforma, tanto maggiore sarà la probabilità che essa venga adottata… anziché la legge del più forte, ivi domina la legge dei più forti.

Difficile essere il giudice di se stessi, ma mi illudo che i concetti siano concepibili come veritieri e, seppur spietati, condotti dalla Ragione.
La pietà in un mondo egoista per natura è come l'agnello nel branco di lupe affamate, è come il pesce che non è riuscito a sfuggire alla marea e si ritrova così a boccheggiare sulla spiaggia e prossimo ormai alla morte; inesorabilmente calpestata, derisa e flagellata, in guisa del Cristo sulla colonna del Praetorium.
A che obiettivo mirate persistendo a fare agli altri ciò che vorreste fosse fatto a voi? Non potete neanche pensare di intromettervi nei pensieri e nelle intenzioni di chi vi trovate di fronte (già l'introspezione è una guerra che di sé è arduo condurre, se proviamo addirittura ad avventurarci nell'estrospezione, o abbiamo molto tempo da perdere o poco cervello da applicare.
Mirate al seggio nel "Regno dei Cieli"? Mirate a sfuggire al ghiaccio di Cocito od alle fiamme di Dite? Per dovervi poi pentire di aver vissuto secondo chimere e non secondo voi stessi?
L'avviso che voglio donarvi oggi è: vivete per voi stessi, dedicate il vostro tempo a ciò che vi rende più soddisfatti e legati alla vostra vita, non sprecate tempo per quelle "comparse" destinate a comparire per poi svanire come un fuoco pirotecnico. Sic et simpliciter, non abbiate pietà.

A. G.

La perfezione del pignolo, secondo la Ragione e secondo i Sensi

Il dizionario di lingua italiana "Treccani" così definisce il termine pignolo: persona eccessivamente pedante e meticolosa.
Cosa potrà mai interessare al sottoscritto di questa locuzione, che costituisce solo uno dei circa 260.000 lemmi che costituiscono la lingua italiana? Ebbene, sono gli eccessivi episodi in cui il sottoscritto viene bollato con questo aggettivo, che mi spingono a fare una riflessione al riguardo!
Si sa che le parole possono essere fuorvianti, a seconda del modo e del contesto in cui vengono pronunciate o scritte. Nel contesto, le parole che di sopra ho evidenziato non mi suggeriscono nulla di positivo.
Tanto per non uscire dal tema, sottolineo che:
Pedante: colui che pone una cura eccessivamente minuziosa ed inutile in qualsiasi cosa faccia;
Meticoloso: soggetto che mostra maniacale precisione nelle sue cose.
Ora, per quanto il termine sia passibile di una vastissima interpretazione da parte degli auditori, colgo una negatività di fondo che, a mio avviso, poco si addice a questo lemma.
Il sommo grado di perfezione di fronte al quale possiamo assistere è il Creato, il sommo prodotto della Natura e delle sue eterne leggi universali. Noi, da creature da Lei privilegiati, nel nostro spirito di adattamento al mondo in cui viviamo dobbiamo esserne altresì all'altezza, cercando di trarre ispirazione da questa perfezione; così articola i suoi pensieri un uomo guidato dalla Ragione, pur senza nulla togliere ai nostri Sensi, eterno motore del nostro esistere e del nostro interagire col Creato ed i suoi prodotti.
Forse che il mio essere pignolo sia un tentativo di avere un semplice assaggio di questa perfezione? Come detto testé, il che è del tutto apprezzabile, ove prevale la Ragione!
Forse che il mio sia solo un modo per avere occasione di essere al centro dell'attenzione? Anche in tale fattispecie si seguirebbe quanto dettato dai Sensi, che sanciscono l'ancestrale egoismo dell'uomo, centro indiscusso del proprio universo.
Persistete dunque a credere che l'aggettivo "pignolo" sia ancora un attributo negativo, oppure ora ne constatate la reale nobiltà di scopo? Mi auguro di averVi condotto nel sentiero opportuno.
Indi per cui, misuriamo le parole prima di sfoggiarne la portata, perché potrebbero rivoltarvisi contro.

A. G.