mercoledì 5 febbraio 2014

Per amore o per interesse? Omnia Vinxit Amor #1

Ritorno a scrivere affrontando un tema complesso, quasi eterno: quello dell'amore. 
Come titolo di questa rubrica, ho storpiato il noto brocardo di Virgilio Omnia vincit Amor (Bucoliche X, 69) semplicemente cambiando una lettera: Omnia vinxit Amor. Amore che lega ma amore che incatena, amore che trattiene ma amore che protegge. Così sfaccettato, così caotico, che sarebbe impossibile riuscire a comprenderlo in un unico fascio, giacché uno solo dei suoi innumerevoli elementi conta più di qualsiasi fascio. 
Mi accingo ad affrontare il tema dell'amore sotto un aspetto a mio avviso basilare, ossia l'amore correlato alla visione utilitaristica che impregna in ogni dove l'esistenza di ogni singolo essere umano: con ciò, mi riservo di coadiuvarmi di un estratto de L'arte di trattare le donne di Schopenhauer, considerato (giustamente o meno, a seconda dell'interlocutore) baluardo della misoginia moderna; l'estratto, non a torto, si intitola "Per amore o per interesse?". Leggiamo:

L’uomo che nello sposarsi bada al denaro invece che a soddisfare la propria inclinazione vive più nell'individuo che nella specie, il che è l’esatto contrario della verità e si presenta quindi come contro natura, suscitando un certo disprezzo. Una fanciulla che, ignorando il consiglio dei genitori, respinge la domanda di un uomo ricco e non vecchio per scegliere solo secondo la sua tendenza istintiva, passando sopra a tutte le considerazioni di convenienza, sacrifica il suo benessere individuale a quello della specie. Ma appunto per ciò non le si può negare un certo plauso, avendo ella preferito ciò che è più importante e agito nel senso della natura (e più precisamente della specie). 
[A. Schopenhauer]

Perdonami, caro Arthur, ma permettimi di analizzare questo tuo inciso come meglio si cala nella realtà dell'esistenza e nei precetti razionali, e di metterne ivi in luce i tratti maggiormente contestabili. 
Innanzitutto, ti si può dare piena ragione quando affermi che "l'uomo che nello sposarsi bada al denaro [...] vive più nell'individuo che nella specie", ma sorge l'amaro in bocca nel momento in cui concludi affermando che ciò "si presenta quindi come contro natura". Trovo inconcludente separare la bramosia di denaro dalle inclinazioni umane (inclinazione intesa come "istinto ancestrale"), in quanto la bramosia di denaro è manifestazione delle proprie inclinazioni tese al possesso, che nel caso in esame è peculiarmente rivolta alla pecunia; sarebbe come separare e distinguere l'ossigeno dagli altri gas. Da ciò deriva l'inesattezza di tutto ciò che segue: difatti, la bramosia di denaro è dettata dall'inclinazione al possesso, dal desiderio di avere per sé quanto più ci aggrada, dunque ciò è perfettamente corrispondente alla verità dell'esistenza (giacché l'uomo è spinto istintualmente dal possedere ciò che desidera), ergo è perfettamente naturale; dunque, il disprezzo con cui si guarderebbe a questa falsa "non-naturalità" è da guardare con ancora maggior disprezzo.
Proseguendo, è d'uopo cercare di interpretare cosa sia l'individuo e cosa sia la specie, il che è abbastanza palese: l'individuo è la cura di se stessi, la specie è la cura del prossimo, e già svariate volte ho cercato di dimostrare come la cura del prossimo sia la rovina della nostra essenza, il rinnegamento del nostro istinto-madre: la nostra natura vive nell'individualità, sacrificarsi sull'altare della specie equivale a mozzarci la testa con le nostre stesse mani, è come l'agnello che si reca deliberatamente nella tana del lupo.

Proseguendo, Schopenhauer persiste nell'inversione già criticata nel primo periodo: giustamente si può plaudire la scelta della fanciulla di seguire i propri istinti a scapito di un futuro circondato dalle ricchezze (dopotutto, ciascuno di noi non può essere chiamato a giudicare delle scelte dei nostri simili, salvo che tali scelte possano condizionare od alterare i nostri obiettivi ed i nostri interessi); ma come si può affermare che ella, con tale decisione, abbia sacrificato l'individualità alla specie? La specie non ricopre nessun ruolo nella nostra esistenza, la specie non esiste se non come nozione per indicare la macrocategoria degli esseri viventi aventi tra loro caratteri comuni. Mai la specie può essere adita a stabilire e manovrare le nostre scelte, esistiamo soltanto noi come individui, muovendoci in un labirinto di scontri e alleanze, correndo e sgomitando il più possibile per raggiungere il nostro obiettivo. Pertanto ella non ha agito secondo il senso della natura, come fallacemente conclude l'Autore, ma ha agito seguendo i dettami dell'etica, che è il morbo più venefico di tutti.

Vedete, dunque, come l'amore incondizionato sia solo uno specchietto per le allodole. Ci sono molti altri elementi che entrano in gioco, e di fronte ad essi il valore "spirituale" dell'amore è destinato a soccombere. Ma non è questo il momento di arrivare ad una soluzione irruente e frettolosa sulla complessa questione aperta con questa dissertazione odierna, mi riservo di proseguire in futuro ed illudendomi di avervi aperto gli occhi, istigato la Ragione e stuzzicato l'interesse.

A. G.