sabato 5 luglio 2014

Nihil volenti difficile.

Quanti di voi si sono mai sentiti dipendenti da qualcosa? Pensiamo al fumatore che dipende dalla nicotina, ovvero pensiamo all'avaro che non riesce a separarsi dal denaro raggranellato nel corso del tempo. Ma cos'è questo elemento accidentale dell'esistenza, questo quid che tanto è in grado di influenzare il nostro percorso? E soprattutto, è concepibile una compatibilità tra l'essenza umana e lo stato di dipendenza? Ragioniamo.

Innanzitutto, cosa vuol dire essere dipendenti da qualcosa? Dal punto di vista meramente pratico, possiamo definirlo come uno stato di necessità che ci spinge ad assumere od utilizzare un determinato bene per trarne sollievo ovvero, nei casi più incalliti, sopravvivenza. Ma badate, deve essere un bene che esula dal normale flusso naturale delle cose (sarà, dunque, errato asserire che gli esseri viventi "dipendono" dall'ossigeno, non essendo ammissibile immaginare un sistema in cui l'essere vivente sia in grado di sopravvivere senza di esso), un bene che, pur non utilizzato, non impedirebbe comunque il nostro ciclo vitale.
Premesso ciò, passiamo alla prossima tessera del domino: come si entra nel circolo di dipendenza? Qui il numero di cause si mimetizza perfettamente con la sabbia del deserto, essendo riscontrabili migliaia di punti di partenza da cui poi esplode la dipendenza.

A questo punto, possiamo coadiuvarci con una delle dipendenze più emblematiche e diffuse: la dipendenza da nicotina (il medesimo discorso può affrontarsi con ogni altro bene di dipendenza, pur mutando le cause).
Come ha inizio questo circolo? Tanto più gli anni passano, tanto più l'età minima in cui si inizia a fumare si abbassa, e tra tutte le cause che si imputano a ciò, quella vincente è sempre la stessa: per "giocare a fare i grandi". Ma è veramente così? Non si può negare che è l'iniziare a fumare spesso è il primo segno di emersione dal marsupio materno, il primo dei mille atti egoistici che l'uomo si prefissa in ogni suo agire. 
Ma allora, giunto il tempo in cui l'infante non è più tale, quando ormai è in possesso di tutti i mezzi fisici ed ideologici necessari per emergere, perché persistere ad utilizzare un espediente che oramai ha esaurito la sua efficacia? Interviene la Natura ed i suoi ingranaggi, di modo che esso, anche se mero accidente, diviene vitale. Ecco incorrere, dunque, la dipendenza.

Bene, dopo aver dissertato a lungo su questo status, bisogna analizzare come la dipendenza si rapporta con l'essenza umana. Ebbene, in sé potrebbe benissimo esistere un mondo senza dipendenza, e cercherò di spiegarvi il perché.
Spesso si recita il brocardo nihil volenti difficile, per sottolineare quanto la volontà dell'uomo sia in grado di devastare e riformare quanto lo circonda. E di fronte ad una forza così poderosa, nulla impedisce all'uomo di rivolgere la medesima volontà verso se stesso. L'esito di questo scontro "volontà vs dipendenza" può avere l'esito più vario, ma la volontà, così come ogni arma, è tanto più micidiale quanto più forte è l'animo del'uomo: è scontato che un uomo di debole e succube indole, senza certezze e senza obiettivi che sia in grado di raggiungere, sarà assuefatto dalla dipendenza e dall'inettitudine, disintegrando il proprio animo e macerando le proprie carni; l'uomo risoluto e sicuro delle proprie possibilità (siano esse lungimiranti o dirette a questioni bagatellari) non potrà soccombere dinanzi alle lusinghe della dipendenza.

Non è fuori luogo una questione di questo tipo: abbiamo affermato che è la Natura ad instillare nel nostro corpo la sensazione di dipendenza da un determinato bene, ma allora il contrastare la dipendenza equivale a violare i limiti fissati dalla Natura? Ebbene, la risposta è negativa. Le leggi della Natura impediscono all'essere umano di volare, eppure ha fornito comunque all'uomo la possibilità di scoprire e realizzare altri modi per perseguire lo scopo; per le stesse ragioni, non vige alcuna antinomia nell'immaginare una volontà in grado di contrastare gli impulsi psico-fisici della dipendenza.

Ricolleghiamoci ora, in conclusione, ad un quesito lasciato in sospeso poc'anzi: perché persistere ad utilizzare un espediente che oramai ha esaurito la sua efficacia? Semplice: la "dipendenza" diviene un nostro strumento, un mezzo che siamo liberi di sfruttare per perseguire i nostri obiettivi, senza che essa possa mai condizionare le nostre scelte. Laddove esiste una volontà vincente rispetto alla dipendenza, quest'ultima (pur inducendo nel nostro organismo e nella nostra psiche gli effetti collegati a ciascuna fonte di dipendenza) non sarà mai in grado di soggiogarci. Quanti baldi giovani utilizzano la scusa della sigaretta per intrattenere un anche minimo dialogo con l'avvenente fanciulla conosciuta quella sera? Per non parlare del traffico clandestino di stupefacenti: quale miglior modo per lucrare a causa della dipendenza e della debolezza altrui?