martedì 22 aprile 2014

La "Scommessa di Pascal".

Ritorno a scrivere in occasione di un traguardo particolare: le 1000 visualizzazioni. In ragione di ciò, premetto i miei ringraziamenti per tutti coloro che hanno avuto il tempo di soffermarsi a leggere, anche solo per qualche riga, le mie dissertazioni, illudendomi che le visualizzazioni sorgano per spontaneo interesse e non per errore nella scelta del sito da visualizzare.

In occasione della trascorsa festività pasquale, affrontiamo nuovamente il tema religioso, incentrando il ragionamento su di un brano molto famoso e di larga applicazione.
L'agnello sacrificale è il filosofo Blaise Pascal, ed il brano scelto è quello inerente alla famosa "scommessa sull'esistenza di Dio".

" [...] Valutiamo questi due casi: se vincete, vincete tutto, se perdete non perdete nulla. Scommettete, dunque, che Dio esiste, senza esitare.[...] " 
[B. Pascal, Pensieri, 233]

Approfondiamo dunque l'analisi e sussumiamo i risultati della "scommessa":
1) se Dio esiste e noi abbiamo creduto, guadagneremo il premio da Lui promessoci nelle Sacre Scritture;
2) se Dio esiste e noi non abbiamo creduto, perderemo il premio testé citato;
3) se Dio non esiste e noi abbiamo creduto, non avremo perso nulla né guadagnato alcunché;
4) se Dio non esiste e noi non abbiamo creduto, di nuovo non perderemo né guadagneremo nulla.

Secondo quanto detto in precedenti dissertazioni, i primi 2 punti sarebbero subito eliminabili per l'assurdità contenuta nella protasi, ma vediamo di complicarci la vita e di analizzare più a fondo la questione. 
La stessa Bibbia, in Eb. 11:1, ci dice che "la fede è certezza di cose che si sperano, dimostrazione di realtà che non si vedono"; siamo dunque di fronte ad una definizione generale di "fede", senza alcun riferimento alla divinità cristiana (inciso anacronistico, giacché nell'Antico Testamento non si può ancora parlare di cristianesimo). Dunque, ciascuna fede interpreterà il suddetto passo secondo i dettami del proprio Credo, originando tante teorie quanti sono le credenze del Creato.
Anche il panteismo naturalistico (la corrente di pensiero che impregna il mio pensiero mentale, scritto ed orale) di matrice spinoziana è una fede, ma essa ha quel quid in più che nessun'altra fede teocentrica possiede. Prendiamo il secondo inciso del passo (la fede è [...] dimostrazione di realtà che non si vedono) e constatiamo che una dimostrazione della realtà esiste, anzi, essa è la pietra di volta del sistema panteistico. Siamo in possesso di 2 mezzi di dimostrazione: uno teorico, costituito dalla Ragione, ed uno pratico, costituito dalle leggi naturali.

Prendiamo ad esempio un caso banale: il principio di Archimede. Frammentiamone la dimostrazione:
- elemento teorico = formulazione del teorema: ogni corpo immerso parzialmente o completamente in un fluido (liquido o gas) riceve una spinta verticale dal basso verso l'alto, uguale per intensità al peso del fluido che occupa nel volume spostato.
- elemento pratico = esempi: la nave galleggia in acqua, la mongolfiera sale verso l'alto, etc.

Ecco emergere dunque l'insufficienza del Credo cristiano, la sua deficienza nel calarsi nel Creato, proprio perché è carente di dimostrazioni concrete, necessità che, col trascorrere dei millenni, è divenuta sempre più impellente.

Proseguendo con gli ultimi 2 punti della sussunzione, trovandoci in presenza di una protasi conforme al Credo panteistico, analizziamo la comune apodosi, che in ambo i casi dovrebbe subire una variazione:
- se Dio non esiste e noi abbiamo creduto, avremo perso molto e non avremo guadagnato nulla;
- se Dio non esiste e noi non abbiamo creduto, non avremo perso nulla ed avremo guadagnato molto.

Il perché di questa modifica? Semplice: il credere in Dio comporterebbe uno stile di vita e di pensiero che poco si conforma con il progetto di vita che ci spetta (nulla ci può vietare di desiderare una donna di un altro, nulla ci può obbligare ad onorare i propri genitori, nulla ci può obbligare a dire sempre il vero). Per non parlare poi delle ripercussioni sul nostro intrinseco istinto utilitaristico.
Prendiamo, ad esempio, una delle più celebri affermazioni contenute nel Nuovo Testamento: "Se qualcuno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra." [Mt. 5:39] Quando mai questa fattispecie sarebbe rispettata nel nostro contesto, dove la reazione più naturale è ripagare con la stessa moneta (o addirittura a maggior caro prezzo) l'aggressione subita? L'uomo, in quanto animale privilegiato, non può che essere soggetto alle stesse indoli delle bestie, ove il non reagire ad un aggressione è indice di debolezza e di biasimo da parte degli altri. Basti pensare alle lotte tra i maschi di un branco per conquistare la femmina con cui accoppiarsi, ove talvolta lo sconfitto è indotto ad abbandonare il branco; oppure, prendendo un esempio meno complesso, pensiamo al cane che viene aggredito e morso da un altro cane, qui le scelte sono 2: o reagire all'offesa subita (con la possibilità di riscattarsi e dimostrare la propria superiorità) oppure sottomettersi al più forte ed essere sconfitti in partenza.

Pertanto, secondo quale criterio vige il divieto di falsa testimonianza, ove la verità ci porterebbe più danni che vantaggi? Chi può vietarci di sedare le proprie pulsioni sessuali tanto verso di sé tanto verso l'oggetto del proprio desiderio?
Emerge la semplicità dell'individuazione degli innumerevoli limiti scaturenti dalla credenza cristiana, soprattutto nella consapevolezza che, come scritto nella protasi, la deità non esiste.
Di conseguenza, la scommessa di Pascal ci conduce ad un'errata visione della natura delle cose, come si è cercato di dimostrare.

Un'ultima domanda dobbiamo porci, prima di chiudere il tema: perché questo stratagemma ha avuto così larga diffusione? A mio pare, la soluzione è sussumibile in una parola: pigrizia.
Infatti i "fedeli", non avendo voglia di stare a riflettere sul perché e sul percome Dio dovrebbe esistere, si giustificano recitando i 4 punti testé analizzati, dimostrando la loro scarsa lucidità mentale e l'accidia del loro raziocinio, elemento paradossalmente riprovevole anche agli occhi della fede cristiana.

Concludo l'intervento ringraziando nuovamente per il traguardo, augurandomi un maggior afflusso di lettori interessati alle tematiche affrontate. A presto.

A. G.

2 commenti:

  1. a parte il fatto che io alle 3 e 33 della mattina sono bello che nel mondo dei sogni,
    è possibile che l'assunto principale della scommessa di Pascal (per gli amici Pasqual) sia il fatto che "entri in paradiso perchè credi in Dio a prescindere da quel che fai"?
    l'idea dei 10 comandamenti e tutte le leggiuccole che ci hanno girato attorno nei secoli, non dovrebbe essere quindi secondario alla credenza in Dio...
    della serie, uno può essere anche Gandhi, ma se non crede in Dio, ciao paradiso!!!!
    A mio avviso è utilizzato dai credenti anche per via del proverbio che in fondo cela "il fine giustifica i mezzi"... se credi in Dio, puoi far ciò che vuoi!
    (tendo però a precisare che nel senso Cristiano Cattolico, credere necessita di applicare tutte le regole morali di conseguenza...alcune abbastanza etiche dai...)

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    1. Molto probabilmente molti miei interventi potrebbero uscire in orari, per così dire, "inconsueti" poiché, quando sono ispirato su un argomento, finché non termino l'esposizione la palpebra non accenna a calare.
      Quisquilie a parte, incomincerei rispondendo alla tua domanda di esordio: è plausibile (anzi, non dubito) che i cristiani utilizzino questa alettante "promozione" per aggiungere altre pecorelle all'ovile, ma sinceramente trovo che ciò possa condurre ad un'incoerenza colossale (che, ad onor del vero, permane anche senza analizzare il passo del buon amico Pasqual): se questo Dio è talmente misericordioso e buono che è sufficiente pentirsi prima di trapassare, che senso ha parlare di concetti raccapriccianti quali "dannazione", "inferno" ed "eterno tormento"? Secondo questo principio, chiunque può benissimo ammazzare il padre per prendersi la sua parte di eredità, stuprare la donna che ha rifiutato di cedere alle sue avances, rubare la borsa di una vecchietta per intascarsi la grana, e poi, poco prima di morire, sussurrare "Dio, perdonami!" e puf! Scampato dalle fiamme. Pensa, tanto per citare un caso emblematico di pura e sacra cristianià, a Costantino il Grande, che ha aspettato la morte per farsi battezzare e "lavare" così la sua anima dai peccati commessi in vita.
      Indi per cui, anche l'apostasia è soggetta alle stesse regole, dunque qualunque miscredente in punto di morte sussurrerà: "Dio, credo in te e chiedo perdono" ed anche qui puf! Scampato dalle fiamme.
      Non posso che essere d'accordo con te sulla citazione machiavelliana: un cristiano è convinto di essere nel giusto in qualunque situazione egli si trovi solo perché porta al collo una croce (dopotutto, "In hoc signo vinces", disse l'angelo al succitato Costantino prima della battaglia di Ponte Milvio).
      L'applicazione delle regole morali fa parte del "contratto" che stringi con Dio: se vuoi il Paradiso, devi fare come dico io. E trovo, in conclusione, che non ci sia nulla di più innaturale ed antirazionale che sottomettere la propria esistenza e la propria volontà ad un'entità la cui esistenza è più che discutibile.
      Ti ringrazio del commento e dell'intervento.
      Cordialmente,
      A. G.

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